9 Giugno 2017: Davide van De Sfroos in concerto allo Stadio di San Siro (Milano).
Fra luna piena, lupi, maschere e la presenza di ospiti speciali come Fabio Treves, il Cimino e uno sciamano Azteco, si è consumato ieri sera con Davide van De Sfroos un grande rituale collettivo con migliaia di fans da tutta Italia.
Perché l’obiettivo ieri sera non era riempire San Siro, anche se alcuni dei cosiddetti “critici musicali” (più critici che musicali!) puntano le proprie povere osservazioni sul fatto che “solo” 20.000 persone rendono San Siro più vuoto che pieno.
L’obiettivo era molto più alto, e non basato sui numeri ma sulla qualità dell’esperienza che Davide Van De Sfroos ha voluto offrire ai propri fans.
Davide voleva realizzare una grande festa, e alla grande l’ha organizzata, invitando sul palco con lui i pezzi grossi del folk rock, del blues e del country-bluegrass in Italia: I Luf, la Gnola Blues Band e gli Shiver, oltre 20 persone dedicate a dare vita e anima ai suoi brani più famosi.
Ma quello che io ho colto come orizzonte più ampio di questa grande festa è la dimensione antropologica e rituale, nella quale ho riconosciuto le stesse caratteristiche delle feste sacre che nelle popolazioni di interesse etnologico tuttora caratterizzano i momenti di passaggio di una comunità, con il periodico rigenerarsi della forza della comunità stessa.
Dall’alba dei tempi l’uomo celebra i propri legami sociali cantando, suonando, ballando e mangiando tutti insieme. È ciò che è accaduto ieri sera a san Siro nella community dei fans di DVDS, dove il fatto di cantare, suonare, ballare e mangiare tutti insieme ha permesso alle persone di vivere un momento di profonda connessione reciproca, ma anche di liberazione emozionale e di connessione con valori eterni: quelli dell’amore, della famiglia, del coraggio, dell’amicizia, della relazione con il sacro, delle storie di chi ha superato sfide impossibili, delle cose ridicole e misteriose che affollano la nostra vita umana.
Gli stessi valori cantati dal Davide, il motivo profondo della sua capacità di attrarre una massa di fan di ogni età.
Le gesta cantate nella Ballata del Cimino, lo sconvolgimento del Cyberfolk, l’entusiasmo travolgente del Carnevaal de Schignan, la magia di Yanez, la malinconia e la fatica di Akuaduulza, la sacralità dello Sciamano, le memorie strazianti di Hoka Hey.
Davide sa parlare a tutti, e nello scegliere le band che lo hanno affiancato in questa grande impresa di San Siro, ha ascoltato il cuore e l’anima di tutti i suoi fan, offrendo loro la freschezza e l’energia degli Shiver, la potenza e il vigore dei Luf, che da 15 anni calcano palchi di ogni dimensione, l’intensità e la profondità dalla Gnola Blues Band.
Con gli Shiver, al suo fianco nell’ultima tournee, ha aperto lo spettacolo. La visibile emozione iniziale della giovane band ha lasciato poi spazio a disinvoltura e divertimento, interpretando con padronanza una scaletta strepitosa fatta da pezzi forti come Lo sciamano, La balada del Genesio, Televisiun, Nona Lucia, Il costruttore di motoscafi, Grand hotel, gran finale con cori da stadio (giustamente!), subito prima di passare la staffetta al branco di lupi pronti a ululare alla luna piena.
I Luf (in dialetto camuno, “I Lupi”), erano letteralmente accompagnati dal loro Branco, il nome del fans club (organizzato per l’occasione con pullman dalla Val Camonica e dalla Brianza per non mancare al grande evento) che fra striscioni e cori ha accompagnato l’esibizione del gruppo con l’affetto che solo chi canta con il cuore sa generare.
Nove vichinghi grandi e grossi (due di loro in kilt!) hanno riempito il palco con una potenza di suono che ha fatto saltare lo Stadio, grazie a nuovi arrangiamenti “alla Luf” realizzati ad hoc per l’occasione, per brani da veri guerrieri del folk rock.
Hanno così potuto prendere nuova vita anche pezzi che i fan di Davide Van De Sfroos desideravano da anni senza mai poterli ascoltare dal vivo come El mustru, oltre a De sfroos (travolgente apertura che ha sconvolto e coinvolto la massa di fan che saltava e pogava nel prato), El diavul, La ballata del Cimino (con il Cimino in persona sul palco con un finto grande pacchetto di sigarette sulle spalle da cui estraeva vestiti buttandoli sul pubblico, a mimare il suo tuffo nudo nel lago per fuggire alle guardie che lo ricercavano per contrabbando).
E ancora I Luf con Davide van De Sfroos danno vita a Il duello, E semm partii (con un coro da brividi!), Il figlio di Guglielmo Tell (con una parte di arrangiamento in chiave reggae divertentissima e coinvolgente).
Fino al tripudio finale con El carnevaal de Schignan, in occasione del quale sul palco sono salite le maschere del carnevale di Schignano (che poi hanno girato fra il pubblico, generando scompiglio e sorpresa, oltre ad un mare di selfie – fra cui il mio!), a sottolineare la forte connessione del cantautore con la terra e le sue tradizioni più ancestrali. Un momento di puro teatro antropologico, di linguaggio simbolico universale e transculturale. Potente. Arcaico. Primitivo!
Poi lo stadio sprofonda nelle emozioni di Ventanas, 40 pass e La figlia del Tenente, con un accompagnamento quasi acustico che lascia ai fans qualche minuto di emozione più intima, prima di passare al gran finale con la Gnola Blues Band e La machina del ziu Toni, Cauboi, Il paradiso dello scorpione, Yanez, Akuaduulza, Hoka hey, Pulenta e galena fregia, Cyberfolk.
La maggior parte dei pezzi erano accompagnati dal coro di fans che dal prato alle tribune inondava tutto di voce e di emozione, in un bagno di sudore determinato non tanto dalla calura estiva, quanto dalla voglia di partecipare ballando, cantando, saltando, urlando e ridendo, per esprimere piena comunanza con il proprio vate musicale e con gli altri 20.000 fratelli tribali.
Alcune perle di pura magia hanno poi impreziosito questo set di artisti di altissimo livello.
Fra di esse, lo sciamano azteco “Pioggia di fuoco” (Xiukiauitzincheko), che ha benedetto il palco la sera prima del concerto, ed è salito on stage in occasione del suggestivo Hoka Hey.
Ma anche il puma di Lambrate, Fabio Treves, nella parte travolgente di armonica su “Il paradiso dello scorpione”, il grande padre del blues che da anni calca i più importanti palchi d’Italia (inclusa l’apertura del concerto di Bruce Springsteen al Circo Massimo di Roma nel 2016).
Sono sincera: non conoscevo bene il repertorio di Davide Van De Sfroos. E mi è spiaciuto non sapere i testi a memoria per potermi immergere nell’onda di voci che mi avvolgeva.
Ma con questo concerto mi sono innamorata della profondità dei testi, della semplicità e schiettezza del cantautore, una persona che trasmette la tranquillità dell’autenticità e della propria umile verità. La forza di essere quello che sei, niente di più e niente di meno. Un modo di essere e di vivere che ti arriva forte e chiaro guardandolo sul palco. Un atteggiamento sincero che genera libertà e leggerezza. La piena espressione di ciò che chiamo “Intelligenza Primitiva”, quell’intelligenza che viene dalla Terra e che, quando la ascoltiamo, ci fa capire chi siamo e come stare al mondo.
E secondo me non è un caso che il concerto sia stato fatto in Luna Piena, a testimoniare la pienezza dei risultati conquistati dal cantautore di Monza cresciuto a Como, che da 25 anni calca le scene con il suo spirito primitivo.
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